La spazzatura inquina anche lo Spazio. Sono milioni i rottami in orbita attorno alla Terra, e possono causare incidenti: danneggiare i satelliti, urtarsi provocando la moltiplicazione dei frammenti, rientrare in modo incontrollato e mettere in pericolo gli astronauti. Oggi che l’attività spaziale, anche di natura commerciale, è in aumento, si sviluppano regole per ridurre la produzione di detriti, ma anche tecniche per monitorarli e mitigarne gli effetti. L’IRA è coinvolto nel progetto European Space Surveillance and Tracking (EUSST), e usa la grande Croce del Nord per le osservazioni radar dei detriti spaziali.
Staff: G. Bianchi, C. Bortolotti, A. Cattani, F. Fiocchi, L. Lama, D. Guidetti, A. Maccaferri, A. Mattana, R. Minghetti, M. Morsiani, G. Naldi, F. Perini, G. Pupillo, M. Roma, M. Schiaffino.
Detriti spaziali: la gravità del problema
Negli ultimi decenni, il numero di oggetti creati dall’uomo in orbita attorno alla Terra è aumentato notevolmente. In circa 60 anni di attività spaziali, oltre 5450 lanci si sono trasformati in 42.000 oggetti identificati, di cui la maggior parte sono ancora nello spazio e regolarmente tracciati dalla rete di sorveglianza spaziale degli USA. Si presume che collisioni e frammentazioni abbiano generato una vasta popolazione di detriti spaziali: si stimano circa 34.000 oggetti più grandi di 10 cm e 129 milioni di oggetti da 1 mm a 10 cm. I detriti possono viaggiare a velocità fino a 27.000 km/h, abbastanza da danneggiare un satellite o un veicolo spaziale, e sono pericolosi per gli astronauti durante le attività extraveicolari. Anche il loro rientro incontrollato è un potenziale pericolo per la popolazione mondiale. I rientri degli stadi superiori si verifica quasi ogni settimana; tra questi, oggetti intatti con una massa superiore a cinque tonnellate rientrano in media 1-2 volte all’anno.
Il monitoraggio da terra
Il rientro incontrollato della stazione spaziale cinese Tiangong-1, nel 2108, ha portato il tema dei detriti spaziali all’attenzione del grande pubblico. Tuttavia, erano già stati avviati programmi specifici nel 2014, quando è nato il consorzio europeo di sorveglianza e monitoraggio dello spazio (EUSST), al quale oggi partecipano otto Stati membri dell’UE tra cui l’Italia. L’obiettivo è unire le loro capacità per individuare, catalogare e monitorare gli oggetti in orbita attorno alla Terra, al fine di avvisare gli operatori satellitari sui rischi di collisione e informare le pubbliche amministrazioni su eventuali rientri incontrollati. Alla fine del 2018, la rete di sensori EUSST era composta da 11 radar, 19 telescopi e 4 stazioni laser. A tale rete partecipa la Croce del Nord, un interferometro radio dell’Università di Bologna gestito dall’IRA e situato a Medicina, risalente al 1964. Una vasta parte di questo enorme strumento è stata completamente rinnovata per soddisfare i requisiti posti dalle esigenze dell’EUSST. La Croce del Nord è la parte ricevente di un radar bistatico, il cui trasmettitore si trova in un’area militare in Sardegna. Il sensore opera in sorveglianza, rilevando nel proprio campo di vista qualsiasi oggetto di almeno 10 cm che orbita ad una quota non superiore ai 2000 km, la cosiddetta orbita LEO (Low Earth Orbit).
Crediti
Bottone principale: adattata da NASA
Figura A: INAF
Figura B: INAF/Politecnico di Milano